Sala 2
La fondazione della Diocesi: un affare di stato

Sezione Una Diocesi per Massa. Le tappe di un lungo percorso

1565
Alberico I Cybo-Malaspina

I primi tentativi di erezione di un vescovado a Massa risalgono ad Alberico I, primo signore Cybo-Malaspina.

 Egli indirizzò una prima supplica al pontefice Pio IV in data 24 febbraio 1565 (rinnovata il 24 ottobre) ma il pontefice morì il 9 dicembre, prima di dare corso alla richiesta. Tentò successivamente anche con i papi Gregorio XIV e Clemente VIII, senza conseguire il risultato sperato.

 In linea con il suo intento di dare prestigio alla città e al suo casato, operò alcuni miglioramenti nella pieve di San Pietro in Massa, col fine di renderla degna della elevazione in cattedrale.

 Tra il 1563 e il 1574 fece livellare l’area attigua alla pieve per trasformarla in una piazza, sulla quale l’edificio si affacciava attraverso una porta appositamente aperta sul lato sinistro

Tra il 1575 e il 1577 rinnovò la casa canonica e commissionò al maestro Vincenzo Cocco da Cremona un orologio da porre sul campanile.

1629
Carlo I Cybo-Malaspina

Presentò una nuova istanza, che ottenne parziale soddisfazione, a papa Urbano VIII. Con la bolla del 19 maggio 1629  la Pievania di San Pietro di Massa fu elevata a Collegiata retta da un Abate Mitrato

 Il titolo di Collegiata è conferito, in ragione della loro importanza, a chiese in cui la Santa Sede istituisce un Capitolo (o collegio) di chierici, detti canonici, così da poter celebrare l’ufficio divino in modo solenne.

Il titolo di Abate Mitrato prevede l’uso dei pontificali (ossia le vesti e gli oggetti propri del vescovo: mitra, croce pettorale, pastorale e anello).

Successivamente però, nel 1672, nonostante gli impegnativi interventi di restauro, la chiesa di San Pietro subì un rovinoso crollo. La costruzione della nuova chiesa iniziò il 15 agosto 1673.

1765
Maria Teresa Francesca Cybo-Malaspina

Sotto il governo dell’ultima sovrana del casato Cybo Malaspina, nel 1735, la nuova Collegiata fu consacrata.

 Nel 1753 Maria Teresa ottenne l’aggregazione della Collegiata di Massa alla Basilica di San Pietro di Roma grazie alla quale ai canonici fu concessa la facoltà di indossare la mozzetta di colore paonazzo con cappuccetto come pure la cappa magna provvista di collo in ermellino nei mesi invernali.

Nel 1757 Maria Teresa ebbe facoltà dall’imperatore Francesco I di stabilire delle rendite da destinare alla futura fondazione di una Diocesi.  Nel 1765 presentò a questo scopo una supplica al pontefice Clemente XIII che nominò una commissione per prendere in esame la domanda (breve del 4 gennaio 1766). Le risorse destinate al Vescovado dovettero però apparire insufficienti.

 Il 9 settembre 1781 avanzò un’ulteriore richiesta a papa Pio VI ma anche quella non sortì effetto.

1822
Maria Beatrice Ricciarda
d’ Este

Malgrado i ripetuti sforzi, non fu un sovrano Cybo-Malaspina a veder coronato il sogno di vedere un Vescovado a Massa, bensì Maria Beatrice d’Este (figlia di Maria Teresa Cybo-Malaspina e del duca di Modena Ercole III d’Este), che regnò su Massa e Carrara dal 1790 al 1796 e dal 1814 al 1829.

 Nel 1819 suo figlio, il duca di Modena Francesco IV, presentò una supplica a papa Pio VII che venne finalmente accolta: la Diocesi di Massa fu finalmente eretta con la bolla del 18 febbraio 1822.

 Dal momento che la collegiata di San Pietro era stata demolita nel 1807, sotto il governo napoleonico, ad essere elevata in cattedrale fu la chiesa di San Francesco, con intitolazione ai Santi Pietro e Francesco.

Vetrine centrali:

Bolla di erezione della Collegiata di San Pietro in Massa

Lettera apostolica «Sacri Apostolatus Ministerio» con cui papa Urbano VIII conferisce dignità di Collegiata alla chiesa di San Pietro in Massa, 1629 maggio 19.
La lettera apostolica o bolla pontificia è una comunicazione ufficiale della Curia romana recante il sigillo del papa. Il termine bolla (in latino bulla) deriva dal sigillo rotondo apposto tramite un cordoncino passante attraverso fori. La bulla, generalmente in piombo, veniva realizzata utilizzando due matrici separate che imprimevano, sul recto: le teste degli apostoli Pietro e Paolo, sul verso: nome, ordinale e titolo del papa. Alla morte di ogni pontefice la matrice del verso veniva distrutta mentre quella del recto veniva sigillata e conservata per essere unita alla matrice del nuovo eletto.

Bolla di erezione della Diocesi di Massa

Lettera Lettera apostolica «Singularis Romanorum Pontificum» con cui papa Pio VII erige la Diocesi di Massa (Dioecesis Massensis), 1822 febbraio 18.
Le lettere apostoliche, o bolle pontificie, sono scritte in latino e iniziano con il nome del pontefice seguito dalla formula: «episcopus servus servorum Dei dilecto (filio) salutem et apostolicam benedictionem». A partire dal Cinquecento la cancelleria pontificia le vergò con una scrittura artificiosa detta «bollatica», caratterizzata da un tratteggio che esasperava il contrasto tra tratti pieni d’inchiostro e tratti più sottili. Nel corso dei secoli XVIII e XIX questa scrittura divenne talmente oscura da indurre ad accompagnare queste lettere con trascrizioni leggibili. Per questo motivo fu abolita da papa Leone XIII nel 1878.

Vetrina grande a destra:

Il matrimonio di Maria Beatrice d’Este

Il 15 ottobre 1771 vennero celebrate a Milano le nozze tra Maria Beatrice d’Este e l’arciduca austriaco Ferdinando Carlo Antonio d’Asburgo Lorena.

Le trattative delle nozze erano state condotte dal nonno di Maria Beatrice, Francesco III d’Este, che aveva garantito allo sposo la carica di governatore di Milano (titolo che mantenne fino all’invasione napoleonica).
Nel 1790 Maria Beatrice ereditò dalla madre, Maria Teresa, il ducato di Massa e principato Carrara che governò da Vienna dove si era trasferita; non ereditò mai, invece, gli stati paterni, ovvero il Ducato di Modena e Reggio, che passarono direttamente al figlio Francesco IV d’Austria-Este.

Il volume qui esposto riporta la cronaca, redatta da Giuseppe Parini, dei festeggiamenti che si tennero a Milano in occasione delle nozze di Maria Beatrice e dell’Arciduca Ferdinando.
Nel contesto dei sontuosi festeggiamenti il 17 ottobre si tenne a Milano  la prima dell’Ascanio in alba di Mozart su libretto dello stesso Parini.
Il volume riporta anche l’incisione di Franz Anton Widman, con i ritratti degli sposi, dalla quale fu coniata nel 1771 una medaglia commemorativa.

Orafi e argentieri a servizio della liturgia

Molte argenterie liturgiche ottocentesche, ancora oggi conservate nelle chiese della Diocesi, provengono dai principali centri produttori del Regno Lombardo Veneto, in particolare, Milano, Modena e Piacenza. Prima della lunga parentesi napoleonica, erano molto diffuse in questo territorio le suppellettili di provenienza romana e genovese, a cui si aggiungevano, in grande quantità, quelle prodotte a Lucca, Venezia e Firenze.

Con la Restaurazione e la nascita della nuova Diocesi si assiste ad un notevole incremento di argenterie provenienti da Milano e Modena e a una drastica diminuzione di quelle di altra derivazione. È grazie alla presenza dei punzoni, che si riescono ad individuare la provenienza geografica e le botteghe degli orafi e argentieri.

Dai documenti d’archivio sappiamo, inoltre, che interi corredi per gli altari – mute di candelabri, croci stazionali, leggii, lampade pensili – così come vasi sacri per l’Eucarestia – calice, pisside e ostensorio – vennero acquistati o donati dalla famiglia regnante, per arricchire i tesori delle chiese della nuova diocesi.

È il caso, ad esempio, della parrocchia di Aulla che, alla vigilia della visita pastorale di mons. Zoppi, ricevette in dono da Francesco IV un calice.

Le oreficerie di Giacomo Vincenzi

Nella Chiesa parrocchiale di Licciana Nardi sono conservate diverse argenterie realizzate da Giacomo Vincenzi – argentiere e orafo modenese attivo dal 1801 al 1837. Le sue opere sono facilmente riconoscibili grazie al punzone della bottega: un leone rampante tra le lettere GV, posto vicino al marchio dell’ufficio di garanzia della città di Modena, un’aquila con testa coronata, in uso dal 1818 al 1872.

Giacomo Vincenzi, è stato fra gli argentieri più noti all’epoca della Restaurazione: artista prediletto dalla corte austro-estense, era molto richiesto sia dai privati, che dalle istituzioni ecclesiastiche. Presso il Museo Civico d’Arte di Modena è conservata l’insegna del suo negozio, qui riprodotta, raffigurante l’allegoria dell’oreficeria: una giovane donna sorridente, seduta, in atto di mostrare varie argenterie, tra cui un calice e un turibolo, chiaro riferimento alla produzione di suppellettili liturgiche, un’anfora e un vaso con coperchio all’antica per le suppellettili d’arredo.

Vetrina grande a sinistra - La Cattedrale dei Santi Pietro e Francesco

Con l’erezione della nuova Diocesi di Massa, la chiesa dei Santi Pietro e Francesco fu elevata a Cattedrale e di conseguenza fu interessata da alcuni interventi di ampliamento e adeguamento degli spazi.

L’architetto Giuseppe Marchelli, seguendo le indicazioni del primo Vescovo Francesco Maria Zoppi, e sotto lo stretto controllo della Duchessa Maria Beatrice, fece nel tempo diversi progetti.

I punti focali delle trasformazioni riguardarono in particolare alcune parti della chiesa.

La necessità più urgente era quella di trovare una collocazione più idonea all’antico fonte battesimale, qui trasferito dopo la demolizione della pieve di San Pietro e collocato a sinistra del portale d’ingresso. Fu scelto di traslarlo nell’annesso Oratorio delle Stimmate ed i lavori vennero realizzati tra il 1829 e il 1830.

L’area del presbiterio, invece, necessitava di un ampliamento, in particolare per lo svolgimento delle messe pontificali, ovvero le funzioni solenni celebrate dal Vescovo con la partecipazione di numerosi ministri. Mons. Zoppi non riuscì a vederne terminati i lavori. Fu infatti con il suo successore, mons. Francesco Strani che ebbe compimento, tra il 1837 e il 1839, la sistemazione dell’area del presbiterio, con la traslazione e riduzione dell’altare maggiore e la costruzione del nuovo coro ligneo.

Per completare questa nuova parte, il Vescovo commissionò ad Adeodato Malatesta, noto pittore modenese, la realizzazione della tela raffigurante San Francesco che resuscita un ammalato, ancora oggi ivi conservata.